Alluvione del 2-4 ottobre 2020: quali responsabilità abbiamo?

L’alluvione che ha interessato il Nord-Ovest italiano tra il 2 e il 4 ottobre 2020, con notevole impatto sulle comunità e sul territorio colpito, ha destato l’attenzione di molti. Cercheremo quindi di ripercorrere quanto accaduto ai fini di realizzare un’analisi obiettiva.

Fase di previsione

Come indicato nella nostra analisi, una saccatura ha interessato i nostri settori a partire dal 2 ottobre: già durante i primi aggiornamenti si sono registrate le premesse per una fase di maltempo molto intenso.

A posteriori, la modellistica ha individuato bene le aree colpite, mostrando i possibili picchi pluviometrici di oltre 500 mm: sebbene localmente vi siano state delle sottostime, la valutazione del contesto ha permesso ai previsori delle varie Arpa (Arpa Piemonte, Arpa Lombardia, ARPAL) di emettere le opportune allerte meteo. 

La valutazione attenta dello scenario e dei suoi probabili impatti sul territorio, ha portato all’emissione di allerte arancioni e rosse su vari settori: scelta che col senno di poi si è rivelata assolutamente corretta. Chiariamo fin da subito che l’allerta non impedisce il verificarsi di un disastro, ma è un avviso che da un lato informa sui potenziali rischi connessi alla situazione prevista, dall’altro è utile per attivare varie fasi operative di Protezione Civile.

Fase di monitoraggio e dati raccolti

Le mappe interpolate che raccolgono i dati di Arpa Piemonte e ARPAL, permettono di verificare la previsione. Per quanto riguarda il Piemonte i massimi accumuli si sono registrati sulle aree settentrionali e sui settori di confine con la Liguria, mentre su quest’ultima maggiormente esposti i settori appenninici di Ponente e di Levante, mentre i settori centrali e la costa da Ovest verso Est son risultati meno colpiti.

Su questo è importante spendere una riflessione, circa l’emissione dell’allerta da parte di ARPAL, rossa su tutto il territorio eccezion fatta per la zona di Genova.

Le precipitazioni più consistenti sia in termini di accumulo sia in termini di diffusione si sono concentrate nelle aree laddove vi era allerta rossa, mentre la valutazione sulla macro-area B, che ha visto fenomeni a carattere temporalesco e meno stazionari, è risultata corretta.

Si ricorda inoltre che l’allerta arancione per temporali è il massimo grado di  per questo tipo di criticità (il rosso altrove era per criticità idrogeologica e piogge diffuse), pertanto non deve assolutamente essere sottovalutato. Indica effetti anche gravi al suolo su porzioni mediamente limitate di territorio.

Alcuni picchi pluviometrici del Piemonte: 648,6 mm a Sambughetto (Piemonte), 603,4 mm a Candoglia,597,8 mm a Piedicavallo, 582,6 mm a Limone-Pancani.

Alcuni picchi pluviometrici della Liguria: 395,0 mm a Poggio Fearza, 351,0 mm a Triora, 286,4 mm a Bargone.

Gli effetti al suolo su aree particolarmente esposte a questi eventi

Giungiamo forse alla parte più complessa e interessante, il cercar di trovare una spiegazione per quanto accaduto. Additare tutte le responsabilità al cambiamento climatico, appare fin troppo semplicistico. E questo nulla toglie all’eccezionalità dell’evento.

Ingenti quantitativi di pioggia hanno prodotto diffusi dissesti, con marcato stress dei reticoli idrografici. Tanaro, Sesia Toce sono i corsi d’acqua che hanno visto aumentare più repentinamente il loro livello idrometrico. La piena del Sesia risulta paragonabile al tragico evento del 1968, superando gli eventi del 1993 e del 2000. Insomma, si è trattato di un evento eccezionale, ma non del tutto inedito.

Vari studi climatici analizzano il contesto italiano, con focus sul Nord-Ovest, rilevando che sia Liguria sia Piemonte sono aree spesso interessate da eventi precipitativi intensi. A livello italiano rientrano tra le aree con i massimi precipitativi annuali più elevati, specie le aree che anche nel caso del 2-4 ottobre 2020 sono risultate interessate.

Le responsabilità dell’uomo, oltre al cambiamento climatico

Gli impatti sulle comunità colpite e sul territorio sono risultati molto elevati. L’urbanizzazione sempre più in crescita degli ultimi decenni acuisce la fragilità del territorio stesso. Fiumi con letti sempre più stretti, o talvolta tombati, abitazioni troppo in prossimità dei corsi d’acqua o costruite in zone a rischio frana, incrementano notevolmente il rischio. 

Oggigiorno è fondamentale una gestione del territorio oculata, una riduzione dell’urbanizzazione specie in queste aree la cui situazione critica è ben nota.

Inoltre, comportamenti virtuosi legati a informazione, formazione e prevenzione, possono dare buoni risultati per una comunità maggiormente resistente agli impatti di questi eventi.

È quindi innegabile una responsabilità dell’uomo, al di là del cambiamento climatico. 

Quest’ultimo può incidere, specie se ci riferiamo all’aumento di temperatura (ormai acclarato) e di conseguenza alla presenza di mari più caldi. Inoltre un’atmosfera più calda trattiene un quantitativo superiore di vapore acqueo, con maggior acqua precipitabile e quindi una possibile influenza sull’evoluzione dei fenomeni atmosferici.

Il problema però non è solo l’intensità dei fenomeni, ma l’impatto di questi su un territorio fin troppo vulnerabile. Per questo non si può parlare solo di clima. Bisogna dedicare la giusta attenzione alle altre problematiche presenti, senza cercare nei cambiamenti climatici un alibi poco valido.

Bisogna adoperarsi affinché si riduca la vulnerabilità del nostro paese che, uscendo anche dall’argomento “clima”, rimane comunque presente. Le aree popolate, specie quando si tratta di aree fortemente urbanizzate, devono essere mantenute con standard adeguati, tenuto conto che le perdite di vite umane sono sempre più spesso correlate a eventi legati a sottopassaggi inondati, cantine e garage, quando non addirittura abitazioni poste in punti a rischio esondazione.

Tale concetto deve essere chiaro e possibilmente tradotto in azioni concrete, da attuarsi al di là del cambiamento climatico, che è comunque in atto e che di certo non migliora la situazione.

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