Ventuno anni fa, era il 5 maggio del 1998, un movimento franoso di vaste dimensioni colpisce le aree campane di Sarno e di paesi vicini. Un mare di fango precipita sulle case, strade, e distrugge quello che trova. Alla fine si conteranno 160 vittime. All’epoca ero un funzionario del servizio meteo dell’Arpa dell’Emilia Romagna, e quella tragedia segnò anche la mia vita professionale. Compresi, molto più di altre volte, che le nostre conoscenze, tecnologie, la nostra scienza devono e possono ridurre le condizioni di rischio. Che possono e, quindi devono, far calare, quantomeno, il numero di persone che rimangono uccise da tragedie del genere.
Dopo quell’evento ci fu, due anni dopo, l’alluvione di Soverato, e anche li piangemmo altre vittime, e contammo tanti danni. Quegli eventi tragici furono fondamentali, nella loro tragicità, per far crescere la consapevolezza della situazione di rischio, in cui si trovava il nostro Paese. L’orografia complessa, la vulnerabilità dei territori e la grande esposizione fanno si che quando eventi meteo, talvolta neppure troppo estremi, si abbattono su tanti territori, resi più vulnerabili anche dall’incuria degli uomini che hanno costruito dove non si sarebbe dovuto, modificato i tracciati dei fiumi, tombato torrenti, il rischio cresce esponenzialmente.
Da quegli eventi si prese ancora più coscienza che per diminuire quel rischio occorreva migliorare il sistema di allertamento nel tempo reale, tra le altre cose. E per avere un buon sistema di allertamento nel tempo reale è necessario avere delle reti di monitoraggio al suolo delle piogge, della neve, dei livelli idrometrici dei fiumi, del vento…E’ necessario avere una rete di radar che ci dicano in tempo reale cosa sta accadendo. E’ necessario disporre di dati satellitari che ci mostrino la situazione dei corpi nuvolosi. E poi occorre avere dei sistemi di previsione meteorologica e idrologica affidabili. E occorre avere, e credo che questa sia la cosa più importante di tutto ma troppo spesso non enfatizzata come dovrebbe, persone capaci di interpretare quei dati, quelle previsioni, e che poi siano capaci di sintetizzare tutte queste informazioni ed emettere delle allerte, assumendosene la responsabilità.
Già, proprio così, la responsabilità. Nel 2004 nasce quindi, grazie all’intuito di diverse persone che mai mi stancherò di ringraziare, il sistema federato di early warning, la cosiddetta rete dei Centri Funzionali, che nasce con una oramai celebre Direttiva del 27 febbraio 2004, tuttora oggi valida. Da quella data il sistema di early warning ha fatto passi in avanti enormi: oggi abbiamo una rete oliata di 22 centri funzionali, uno centrale e uno per regione e provincia autonoma, abbiamo dei sistemi di monitoraggio “stato dell’arte” di cui il nostro Paese può andare orgoglioso, abbiamo dei sistemi di modellazione meteo e idro che sono quanto c’è di meglio al mondo. E ci guardiamo, assieme, ogni giorno, tra tecnici dello Stato e delle Regioni,… ogni santo giorno. 365 giorni all’anno ci si confronta, si valuta, talvolta si litiga pure, ma alla fine emerge sempre una condivisione su cosa sta accadendo e su cosa potrà accadere nelle prossime 24-36-48 ore sul territorio del nostro paese. Non è solo una previsione meteorologica, che talvolta può essere semplice ma talvolta risulta invece complicatissima, ma è una reale valutazione del rischio che potrebbe verificarsi, a fronte di quella situazione meteo e idro che valutiamo assieme. Non c’è sabato, domenica o Natale o Pasqua. O notte o giorno. Ci sono tante persone che, come me che oggi sono qui di fronte a questi schermi, oggi che il tempo non è bello, che non splende il sole, ma piove e addirittura nevica in diverse aree del Paese, che stanno dentro gli Uffici, nelle Regioni, nelle Province e qui a Roma, a pochi metri da me.
La prevenzione del rischio è possibile nel tempo reale, e ci vogliono strumenti, mezzi, sistemi osservativi e strumenti modellistici, e persone che ci guardano, con passione e abnegazione. E ci vuole tanta ricerca che migliori i sistemi di previsione, ci vuole tanta tecnologia che ci permetta di trasferire le allerte in tempi rapidi, ci vuole tanta consapevolezza, da parte di chi deve mettere in atto le misure di risposta al rischio, e ci vuole tanta consapevolezza dei cittadini, per potersi anche auto-proteggere. Perchè una allerta può salvare delle vite umane. Una allerta può salvare delle vite umane. Ricordiamocelo. Questo è accaduto mille volte, e sta già accadendo. Ma una vita che si salva non esce sui giornali. Non esce mai sui giornali. Ma a questo servono le allerte. A prevenire le morti. E essere qui, di domenica, oggi, non è solo un “lavorare” e quindi onorare un ruolo, non è solo essere un cittadino che fa il suo dovere, no, oggi è anche una testimonianza, anche a futura memoria, e anche a chi dice che non siamo un Paese ma un’entità “frattale” di campanili, che invece il Sistema c’è e funziona, e che le persone ci sono e sono brave. E ce ne vorrebbero di più, perché la prevenzione, che si fa con gli strumenti e le persone, sappiate che costa “niente” rispetto ai danni che una “non prevenzione” può causare. E i cittadini lo devono sapere, questo, perchè è l’assoluta, totale e incontrovertibile verità.
Dalla riflessione di Carlo Cacciamani, Responsabile del Centro Funzionale Centrale del Dipartimento della Protezione Civile.